Nudismo
In quasi tutti i numeri di INFONaturista trovo ampi spazi dedicati allo spirito che starebbe alla base del vivere nudi. Discorsi e discorsetti che puntano inevitabilmente a una serie di affermazioni: il nudo è bello, è libertà, è moralmente sano, socializzante se non addirittura affratellante. Si evoca il naturista come creatura angelica, in rara armonia col creato, qualcosa insomma da giardino dell’Eden ante mela.
Si rischia di affermare, tra le righe, che, coi vestiti, il naturista lasci nello spogliatoio anche la propria carnalità, andando ad unirsi ad una società di puri spiriti, dediti a danze e festeggiamenti diuturni. Una eterna primavera botticelliana insomma, completamente depurata da ogni peccato, sia reale che di desiderio. Beh, sarò una pecora nera, ma in tutte queste chiacchiere non mi ci ritrovo.
Nell’ultimo numero, il 52, Pino Fiorella si sforza a dimostrare quanta distanza esista tra naturismo e conformismo, e come, in sostanza, l’atteggiamento “moda” sia agli antipodi di quanti stanno nudi al mare o altrove.
Viene spiegato, come in altre discussioni, quanto la morbosità sia estranea ai signori senza mutande, e in che modo sia educativa la pratica nudista per i bambini, risparmiando loro la curiosità per il corpo.
Vengono a volte citate filosofie recenti e storiche, esempi celebri, popolazioni vicine e lontane. Alla fine, quel che può ricavare uno scettico tessile, è la fatica posta nel ricercare a 360 gradi scuse che giustifichino lo stare nudi in pubblico. Sono pienamente convinto che questa strada non porti a nulla, anzi, che finisca per screditare e ghettizzare il vero nudista.
Che non è, intendiamoci, un “buono nudo” da contrapporre ad un “malvagio tessile”. E’ semplicemente un individuo come gli altri. Nessuno, spero, vorrà contestare che buoni e perversi siano equamente diffusi, costume o no.
Soltanto chi ha frequentato campi nudisti sa, per esperienza, quanto il nudo sia anafrodisiaco, quanto sia normale dimenticare di esser senza mutande prima ancora di averle appese all’attaccapanni, quanto sia naturale incontrare gente nuda senza che questo desti la minima prurigine. In questo senso gli sproloqui tesi ad evangelizzare i tessili per convertirli al nudismo non hanno alcun senso, né tantomeno effetto.
Anzi, la descrizione idilliaca di un mondo assolutamente virtuoso e asessuato può rendere poco credibile il messaggio. E, chiediamoci: abbiamo veramente tanta fregola di voler convincere i tessili a spogliarsi?... non nasconderà questo desiderio l’affermazione di “tutti ladri, nessun ladro”? Credo che alla base di tutta questa tensione a divulgare il naturismo ci sia una ragione semplicissima: l’insicurezza. Il naturista, specie quello italiano, è sottoposto a mille vessazioni.
E’ stato spesso clandestino, ha dovuto magari interrompere la pennichella sulla sabbia per l’arrivo di gendarmi d’ogni tipo, si è sentito in definitiva colpevolizzato per una scelta che di criminale ha ben poco.
Quando il tessile decide di andare in vacanza, può tranquillamente far ruotare il mappamondo e, chiudendo gli occhi, puntare il dito su qualsiasi punto del globo. Se ha la possibilità economica e il tempo per andarci, ci va a colpo sicuro. Il naturista no.
Nell’ultimo numero, il 52, Pino Fiorella si sforza a dimostrare quanta distanza esista tra naturismo e conformismo, e come, in sostanza, l’atteggiamento “moda” sia agli antipodi di quanti stanno nudi al mare o altrove.
Viene spiegato, come in altre discussioni, quanto la morbosità sia estranea ai signori senza mutande, e in che modo sia educativa la pratica nudista per i bambini, risparmiando loro la curiosità per il corpo.
Vengono a volte citate filosofie recenti e storiche, esempi celebri, popolazioni vicine e lontane. Alla fine, quel che può ricavare uno scettico tessile, è la fatica posta nel ricercare a 360 gradi scuse che giustifichino lo stare nudi in pubblico. Sono pienamente convinto che questa strada non porti a nulla, anzi, che finisca per screditare e ghettizzare il vero nudista.
Che non è, intendiamoci, un “buono nudo” da contrapporre ad un “malvagio tessile”. E’ semplicemente un individuo come gli altri. Nessuno, spero, vorrà contestare che buoni e perversi siano equamente diffusi, costume o no.
Soltanto chi ha frequentato campi nudisti sa, per esperienza, quanto il nudo sia anafrodisiaco, quanto sia normale dimenticare di esser senza mutande prima ancora di averle appese all’attaccapanni, quanto sia naturale incontrare gente nuda senza che questo desti la minima prurigine. In questo senso gli sproloqui tesi ad evangelizzare i tessili per convertirli al nudismo non hanno alcun senso, né tantomeno effetto.
Anzi, la descrizione idilliaca di un mondo assolutamente virtuoso e asessuato può rendere poco credibile il messaggio. E, chiediamoci: abbiamo veramente tanta fregola di voler convincere i tessili a spogliarsi?... non nasconderà questo desiderio l’affermazione di “tutti ladri, nessun ladro”? Credo che alla base di tutta questa tensione a divulgare il naturismo ci sia una ragione semplicissima: l’insicurezza. Il naturista, specie quello italiano, è sottoposto a mille vessazioni.
E’ stato spesso clandestino, ha dovuto magari interrompere la pennichella sulla sabbia per l’arrivo di gendarmi d’ogni tipo, si è sentito in definitiva colpevolizzato per una scelta che di criminale ha ben poco.
Quando il tessile decide di andare in vacanza, può tranquillamente far ruotare il mappamondo e, chiudendo gli occhi, puntare il dito su qualsiasi punto del globo. Se ha la possibilità economica e il tempo per andarci, ci va a colpo sicuro. Il naturista no.
Deve innanzitutto fare uno screening per scartare le nazioni meno tolleranti. Identificato il Paese, deve documentarsi sulle località che permettono il libero godimento della natura. Gli serve anche una grande attenzione, perché leggi ed editti non sono sempre eterni, e dove ieri si poteva nuotare senza costume, oggi magari non lo si può più fare. Se poi è un single, qualche camp nudista lo respinge.
Non parliamo poi di coppie francamente gay: peggio dell’uomo nero. I liberali e liberati naturisti sono facilmente omofobi. Quasi che le coppie omosex fossero confinate fra i tessili, e con la sicumera che il costume da bagno proteggerà gli etero da qualsiasi fastidio. Tutte le parole spese per dimostrare quanto asessuata sia una comunità naturista vanno, è il ca","Il costume non fa la differenza.
Non parliamo poi di coppie francamente gay: peggio dell’uomo nero. I liberali e liberati naturisti sono facilmente omofobi. Quasi che le coppie omosex fossero confinate fra i tessili, e con la sicumera che il costume da bagno proteggerà gli etero da qualsiasi fastidio. Tutte le parole spese per dimostrare quanto asessuata sia una comunità naturista vanno, è il ca","Il costume non fa la differenza.
Semmai può essere griffato o evidenziare qualche dettaglio, ma è poca roba, e solo chi indossa simili cose è convinto di migliorare la propria avvenenza. Un buon discorso, fatto ai tessili, potrebbe essere questo: a casa, quando fate il bagno, tenete mutande e reggiseno?... e al mare invece?... Trovate che il costume sia il massimo della comodità? E aggiungerei anche un cenno più leggero, facendo osservare quanto siano antiestetici i segni bianchi di spalline e reggiseno, e le ridicolissime chiappe color ventre di monaca. Molti tessili lo realizzano, e volano nelle beautyfarms a fare i sandwich ultravioletti.
Non digerisco molto l’accurata attenzione che si fa nell’evitare il termine “nudismo”, che evidentemente puzza di pagano, privilegiando quello di “naturismo”, attribuendo a quest’ultimo un’accezione filosofica degna dell’Arcadia. Forse che un vegetariano o, come si dice oggi, un vegano, è moralmente diverso da chi, come me, adora gli arrosti? Proviamo ad immaginare una tavolata di nudisti. Alcuni mangeranno carne, altri no. Alcuni saranno anche naturisti, ma gli altri no.
Voglio rivendicare il diritto mio e, ovviamente, di tutti, di vivere nudo al mare, in montagna, a casa, dove insomma mi pare di star meglio senza vestiti. Non chiedo per questo alcuna assunzione in cielo, né tantomeno venir precipitato agli inferi.
Affermo solo che il nudo, in situazioni appropriate, non deve rappresentare una concessione, una ghettizzazione, una eccentricità. Certo, più si è meglio è, ma anche rimanendo una minoranza, seppur numerosa, occorre puntare su un unico obiettivo: liberalizzare il nudo. Nessuno avverte quanto stride l’accettazione sociale dei gay, ormai cultura, contro il percorso ad ostacoli al quale i nudisti sono costretti per vivere semplicemente all’aria aperta? Occorre anche una radicale azione rivolta ai nudisti troppo insensatamente “benpensanti”, che rappresentano una vetera borghesia, decisamente inattuale.
Se vogliamo, possiamo certo immaginare un idilliaco paesaggio esente da guardoni, maniaci, esibizionisti. Ma non possiamo ucciderli, né farci da loro condizionare. Ci sono, ci saranno sempre. Nei campi tessili e no. Non si può pretendere che il nudismo abbia la funzione di filtro, scremandone la presenza.
Dobbiamo ficcarci in testa che la società è multiforme, che frequentare un ambiente non qualifica né altera nulla. Non è, ad esempio, che chi va alla prima della Scala non possa essere un porcone di prima categoria.
Mi sembrerebbe importante, invece di elemosinare comprensione per naturisti filosofi, sottolineare come un Paese tutto spiagge come il nostro vedrebbe prosperare il turismo regolamentando con maggiore saggezza e ampiezza zone non risicate dedicate al nudo. Vale la pena ricordare anche quanto sia facile attrezzare una zona vacanza per nudisti, visto che le strutture necessarie sono estremamente semplici.
Qualche “minoranza” ha già effettuato percorsi non ghettizzanti. La prima che balza all’occhio è quella che raccoglie gli appassionati di montagna, il CAI. Anche il Cai è partito da posizioni idealizzate, che vedevano nella pratica alpinistica l’uomo puro, vicino al cielo, virtuoso come nessuno.
Forse stimolato dalle bestemmie e improperi che gli scalatori più bravi scaricano a valle, è riuscito a riportare l’alpinismo a terra, aprendolo a tutti i mortali, più o meno maleducati, ma andando a raggiungere diffusione e autorevolezza, anche politica, innegabile. E’ nell’abbandono di ipocrisie e perbenismo, nella negazione che il nudista sia un essere diverso se non superiore a tutti che si può costruire una organizzazione solida e universalmente riconosciuta.
Non digerisco molto l’accurata attenzione che si fa nell’evitare il termine “nudismo”, che evidentemente puzza di pagano, privilegiando quello di “naturismo”, attribuendo a quest’ultimo un’accezione filosofica degna dell’Arcadia. Forse che un vegetariano o, come si dice oggi, un vegano, è moralmente diverso da chi, come me, adora gli arrosti? Proviamo ad immaginare una tavolata di nudisti. Alcuni mangeranno carne, altri no. Alcuni saranno anche naturisti, ma gli altri no.
Voglio rivendicare il diritto mio e, ovviamente, di tutti, di vivere nudo al mare, in montagna, a casa, dove insomma mi pare di star meglio senza vestiti. Non chiedo per questo alcuna assunzione in cielo, né tantomeno venir precipitato agli inferi.
Affermo solo che il nudo, in situazioni appropriate, non deve rappresentare una concessione, una ghettizzazione, una eccentricità. Certo, più si è meglio è, ma anche rimanendo una minoranza, seppur numerosa, occorre puntare su un unico obiettivo: liberalizzare il nudo. Nessuno avverte quanto stride l’accettazione sociale dei gay, ormai cultura, contro il percorso ad ostacoli al quale i nudisti sono costretti per vivere semplicemente all’aria aperta? Occorre anche una radicale azione rivolta ai nudisti troppo insensatamente “benpensanti”, che rappresentano una vetera borghesia, decisamente inattuale.
Se vogliamo, possiamo certo immaginare un idilliaco paesaggio esente da guardoni, maniaci, esibizionisti. Ma non possiamo ucciderli, né farci da loro condizionare. Ci sono, ci saranno sempre. Nei campi tessili e no. Non si può pretendere che il nudismo abbia la funzione di filtro, scremandone la presenza.
Dobbiamo ficcarci in testa che la società è multiforme, che frequentare un ambiente non qualifica né altera nulla. Non è, ad esempio, che chi va alla prima della Scala non possa essere un porcone di prima categoria.
Mi sembrerebbe importante, invece di elemosinare comprensione per naturisti filosofi, sottolineare come un Paese tutto spiagge come il nostro vedrebbe prosperare il turismo regolamentando con maggiore saggezza e ampiezza zone non risicate dedicate al nudo. Vale la pena ricordare anche quanto sia facile attrezzare una zona vacanza per nudisti, visto che le strutture necessarie sono estremamente semplici.
Qualche “minoranza” ha già effettuato percorsi non ghettizzanti. La prima che balza all’occhio è quella che raccoglie gli appassionati di montagna, il CAI. Anche il Cai è partito da posizioni idealizzate, che vedevano nella pratica alpinistica l’uomo puro, vicino al cielo, virtuoso come nessuno.
Forse stimolato dalle bestemmie e improperi che gli scalatori più bravi scaricano a valle, è riuscito a riportare l’alpinismo a terra, aprendolo a tutti i mortali, più o meno maleducati, ma andando a raggiungere diffusione e autorevolezza, anche politica, innegabile. E’ nell’abbandono di ipocrisie e perbenismo, nella negazione che il nudista sia un essere diverso se non superiore a tutti che si può costruire una organizzazione solida e universalmente riconosciuta.