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Qualcosa è cambiato

“L’abito si frappone tra noi e il nulla. Osservate vostro corpo in uno specchio: capirete di essere mortali (…). E’ proprio perché siamo vestiti che ci illudiamo immortali: come può morire quando porta la cravatta (…). La carne copre lo scheletro, l’abito carne; sotterfugi della natura e dell’uomo, inganni istintivi e convenzionali …”.
Chi ha scritto questa riflessione sulla nudità dell’uomo è stato Emil Cioran, il filosofo romeno nato a Rasinari in Transilvania nel 1911 e morto a Parigi nel 1995, che per una strana coincidenza è l’anno in cui mancato anche Giuseppe Ghirardelli, uno dei pionieri del naturismo italiano.
Tra i vari tentativi di preservare l’uomo dallo spettacolo della sua nudità, Cioran ne addita uno in particolare, la civiltà, da cui ne deduce che si è “civilizzati” quando non si esibisce la propria nudità, mentre lo si è se si è vestiti.
E non è tutto: addirittura si porta rispetto all’elegante falsità dell’abito indossato, una falsità che è stata costruita da secoli e secoli di “civilizzazione”, un processo, come i sociologi affermano, che ha finito per separare il sesso dalla persona. Insomma, la civiltà altro non sarebbe che una maschera e la civilizzazione una forma di alienazione: la persona non riconosce più il suo corpo nudo (non vedendolo quasi mai, se non d’estate, al mare, quando si è parzialmente nudi), finendo col perdere la propria identità.
A noi non è dato sapere se Ghirardelli avesse letto o meno il libro di Cioran in cui è contenuta la riflessione di cui sopra. Ciò che appare evidente sono le analogie di pensiero fra i due personaggi sul problema della nudità.
Tutti conosciamo Edvard Munch (1863 - 1944) perché autore del famoso quadro “l’Urlo”, che è alle origini dell’espressionismo tedesco ed anche un’operasimbolo del Novecento, ma non tutti sanno (come racconta Lauretta Colonnelli nel suo libro “Cinquanta quadri”) che dopo il suo ricovero in clinica per una forma grave di esaurimento nervoso, una volta guarito, a cinquant’anni aveva cambiato vita. Si era trasferito in campagna dove trascorreva le sue giornate completamente nudo all’aria aperta, seguendo un regime alimentare naturale e scoprendo la medicina naturale in anticipo sui tempi.
E che dire di Gabriele D’Annunzio (1863-1938), campione del decadentismo, un termine che indicava nelle due accezioni, una negativa e una positiva, quella corrente letteraria riferita a una generazione di poeti maledetti che davano scandalo rifiutando la morale borghese; mentre in senso positivo indicava un nuovo modo di pensare, diverso ed estraneo, nei confronti della società contemporanea.
A pagina 22 della “Storia del naturismo in Italia” Daniele Agnoli scrive che a noi naturisti “non interessa tanto il D’Annunzio superuomo, il letterato ricercato, il futurista, l’intemperante, il lussurioso, l’esibizionista, a noi interessa l’innovatore, il D’Annunzio nudista, cioè colui che ha avuto il coraggio, in epoca codina, di farsi fotografare nudo sulla spiaggia di Francavilla in Abruzzo”.
D’Annunzio, ch’era vissuto in Francia, in quelle zone in cui poi sarebbero sorti i primi centri naturisti francesi, aveva compreso che il bisogno di nudità è un sentimento innato, tanto è vero che il fenomeno naturista si è sviluppato proprio a cavallo di quei due secoli in cui la società era particolarmente ipocrita e puritana.
Anche il filosofo Giorgio Agamben si è occupato di nudità. Lo ha fatto nel suo libro “Nudità” in cui analizza un fenomeno che è andato diffondendosi dall’Europa e poi in tutto il mondo. Il naturismo, dice, attraverso la pratica della nudità, alla sua nascita aveva operato una cesura con il suo tempo e tuttora opera ancora una discontinuità con il presente affetto dall’ossessione tessile che impone come “normale” la vestizione coatta e definisce “anormale” lo stato di nudità. Insomma, anche se può sembrare un azzardo,
Agamben non ha dubbi nell’affermare che è contemporanea la nudità e non contemporanea la vestizione, perché questa, pur seguendo i dettami della moda, e quindi pur cambiando le fogge e i centimetri di pelle che copre o che scopre a seconda dei tempi e delle culture, non ha la stessa valenza contemporanea che possiede un corpo nudo, dato che la nudità è sempre avanti rispetto a qualsiasi tipo di vestito gli stilisti possano inventare.
A tal proposito, indimenticabili sono le performances dell’artista Vanessa Beecroft, come quella, ad esempio, dell’8 aprile del 2005, durante la quale, a Berlino, ha avuto il coraggio di esporre cento donne nude.
Sia lei che l’Agamben hanno voluto testimoniare il fatto di come la nudità sia diventata qualcosa di cui si accorge soltanto, sovente in modo drammatico, quando il corpo non è ricoperto dai vestiti. Generalmente, viene fatto rilevare dai sociologi, la presenza di un corpo vestito passa inosservata (discorso della moda femminile a parte, perché questa ha lo scopo di eccitare il maschio), mentre quando il corpo umano è “scoperto”, ecco che questo mostra i segni spietati della sua sessualità, brutale, animalesca, rimasta immutata fin dalla notte dei tempi. Inoltre, dice Agamben, c’è d’aggiungere il fatto di come e quanto la nudità porti sulle spalle un pesante fardello religioso il quale, rendendo la nudità peccaminosa, l’ha fatta diventare un tabù, difficile da sradicare.
E’ stato il naturismo a svuotare di significato questo tabù, liberando la nudità dagli schemi che la inquadrano e la giustificano soltanto in ambito privato. Purtroppo il tentativo di Vanessa Beecroft, messo in atto con la sua performance dei cento corpi nudi di Berlino, di critica a questa mentalità derivante dal tabù religioso, è stato fatto passare dalla nostra cultura come un “evento”, mentre noi naturisti sappiamo che la nudità non è un evento ma uno stato, quello stato di nudità individuato e fatto riemergere a livello di coscienza dal naturismo.
Anche la scrittrice Anna Meldolesi, autrice di diversi libri, si è occupata di nudo. Ne ha parlato nel suo noto libro “Elogio della nudità”. Il libro, uscito nel 2015 edito da Bombiani, che già nel titolo evidenzia il giudizio positivo su una pratica che per noi naturisti è del tutto naturale, racconta, come recita la locandina, “sei storie vere di nudità che hanno attirato l’attenzione, solleticato desideri, imbarazzato, scandalizzato e, in definitiva, messo in luce l’assurda complessità con cui compiano il gesto quotidiano di toglierci i vestiti”.
Mi fermo qui, con questo breve ex cursus, perché lo scopo di queste note non è parlare di tutti coloro che si sono occupati dell’argomento nudità ma di evidenziare una nuova realtà, e cioè il fatto che “qualcosa è cambiato” per quanto riguarda l’approccio con cui il nudismo viene trattato dai media, al di là degli artisti che sono sempre in anticipo sui tempi. Una volta, nei documentari degli anni ’70, il nudismo era considerato qualcosa di inusuale da mostrare durante una carrellata di servizi bizzarri.
Famoso è stato all’epoca il documentario “Mondo cane” di Gualtiero Jacopetti, che allora era stato campione d’incassi al botteghino e che, fra i tanti servizi, mostrava alcuni campi nudisti come una delle stranezze di quel tempo.
Ai giorni nostri, nei documentari e nei reality che vengono trasmessi dalle tv private, il nudismo viene mostrato in modo diverso (a volte con occhio benevolo, a volte addirittura in modo positivo), da come si faceva un tempo, e non più come un tabù, ma come una scelta di vita di un considerevole numero di persone, più di 500 mila in Italia, milioni in Europa e nel mondo. Sono solo dei segnali di un cambiamento che sta avvenendo nella società occidentale o si tratta di una svolta radicale nell’atteggiamento che scienza e cultura hanno nei confronti della nudità umana? Per ora non è dato saperlo.
Quello che è certo è che si sta sviluppando una nuova consapevolezza per tutto ciò che è naturale, come dimostra l’enorme sviluppo del biologico. Artisti e antropologi hanno contribuito enormemente a promuovere la riscoperta delle nostre radici e a favorire il riavvicinamento a quella che comunemente chiamiamo madre natura.
A tutto questo oggi si aggiungono i nuovi media e la potenza penetrante della Rete che favoriscono la diffusione delle informazioni e una comprensione più approfondita dei problemi.

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